La relazione finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali (a firma dei c.d. Saggi) istituito dal Presidente della Repubblica il 30 marzo scorso, al capitolo V, tenta prepotentemente di introdurre nel nostro ordinamento processual-civilistico, per l’ennesima volta (e nonostante la decisione della Consulta), il tentativo obbligatorio di mediazione quale condizione di procedibilità per l’avvio di alcune tipologie di cause civili.
Prima di questa ‘geniale’ e illegittima proposta (perché già colpita da incostituzionalità), i Saggi, scoprendo ‘l’acqua calda’, evidenziano tutti (o quasi) i problemi della giustizia nostrana (cfr art. 22).
E’ opportuno, secondo i SAGGI:
a) il rispetto effettivo di tempi ragionevoli di durata dei processi, oggi carente (come dimostrato dal moltiplicarsi dei ricorsi in base alla legge “Pinto” nonché alla Corte europea dei diritti) sia sul piano della giustizia penale, amministrativa e contabile, sia sul piano della giustizia civile (dove la lentezza dei procedimenti penalizza lo sviluppo e la competitività del paese);
b) la riduzione della ipertrofia del contenzioso;
c) la maggiore efficacia dell’azione preventiva e repressiva, oltre che dei fenomeni della criminalità organizzata, dei fenomeni di corruzione nella vita politica, amministrativa ed economica;
d) l’esigenza di contenere il fenomeno dei contrasti fra diversi organi giudiziari, nonché, sul piano penale e della giustizia contabile, il fenomeno di iniziative che tendono ad intervenire anche in sostanziale assenza di vere, oggettive e già acquisite notizie di reato o di danno erariale, in funzione di controllo generalizzato su determinati soggetti o procedimenti.
e) il perfezionamento del sistema di tutela dei diritti fondamentali, che si avvale oggi del riconoscimento pieno del diritto al giudice, dell’ampia apertura agli strumenti di tutela internazionali, e di organi giudiziari indipendenti, ma non sempre è effettivo a causa di lacune normative e di carenze organizzative.
Pertanto, per la riforma della giustizia civile, i SAGGI PROPONGONO:
a) l’instaurazione effettiva di sistemi alternativi (non giudiziari) di risoluzione delle controversie, specie di minore entità, anche attraverso la previsione di forme obbligatorie di mediazione (non escluse dalla recente pronuncia della Corte costituzionale – sent. n. 272 del 2012 – che ha dichiarato illegittima una disposizione di decreto legislativo che disponeva in questo senso, ma solo per carenza di delega); questi sistemi dovrebbero essere accompagnati da effettivi incentivi per le parti e da adeguate garanzie di competenza, di imparzialità e di controllo degli organi della mediazione;
b) il potenziamento delle strutture giudiziarie soprattutto per quanto attiene al personale amministrativo e paragiudiziario, sgravando i magistrati da compiti di giustizia “minore”;
c) la istituzione del c.d. ufficio del processo;
d) il potenziamento delle banche dati e della informatizzazione degli uffici;
e) l’adozione in tutti gli uffici delle “buone pratiche” messe in atto da quelli più efficienti;
f) la revisione in un quadro unitario dell’ordinamento, del reclutamento e della formazione dei giudici di pace e degli altri magistrati onorari, anche al fine di ampliarne le funzioni.
I Saggi, infine, relativamente alla questione sulla responsabilità dei Magistrati, considerano inopportuno – per istituzioni così influenti – l’introduzione del c.d. “giudizio disciplinare dei pari” e propongono che il giudizio disciplinare per tutte le magistrature resti affidato in primo grado agli organi di governo interno e in secondo grado, senza ricorso a gradi ulteriori, ad una Corte, istituita con legge costituzionale. 1.
Quindi, NO AL GIUDIZIO DISCIPLINARE DEI MAGISTRATI affidato a organi estranei alla MAGISTRATURA… NO al silenzio del MAGISTRATO DURANTE LE INDAGINI (a tutela della segretezza delle indagini) 2… SI alla incandidabilità del MAGISTRATO nei luoghi ove ha esercitato le proprie funzioni 3.
Insomma, alla fine questi SAGGI non sono stati poi così tanto esperti…
Note a piè di pagina- 1. La Corte potrebbe essere composta per un terzo da magistrati eletti dalle varie magistrature (in numero uguale per ciascuna magistratura), per un terzo da eletti dal Parlamento in seduta comune (all’interno di categorie predeterminate) e per un terzo da persone scelte dal Presidente della Repubblica tra coloro che hanno titoli per accedere alla Corte Costituzionale[↩]
- 2. 28. La dimensione moderna della indipendenza del magistrato si configura anche nei confronti dei mezzi di comunicazione, che costituiscono un potere rilevante nelle moderne società democratiche. Per la quantità di poteri discrezionali che esercita nei confronti della reputazione, della libertà e dei beni delle persone, il magistrato deve non solo essere ma anche apparire indipendente, non schierato con alcuna parte, pena la perdita della fiducia e della reputazione, che costituiscono un patrimonio essenziale e indisponibile per tutte le magistrature. E’ necessario rendere effettive le regole e i codici deontologici che vietano al magistrato un uso improprio e personalistico dei mezzi di comunicazione[↩]
- 3. 29. Al magistrato deve essere in ogni caso vietato di candidarsi nei luoghi ove ha esercitato le sue funzioni; deve essere vietato di tornare a esercitare le sue funzioni nei luoghi ove si è candidato o è stato eletto e deve essere vietato di assumere responsabilità di governo regionale o locale nei luoghi ove ha esercitato le sue funzioni[↩]