I giovani laureati in giurisprudenza, intenzionati ad intraprendere la professione forense, dovranno fare i conti con le incertezze interpretative della norma, contenuta nel decreto “liberalizzazioni” 1, relativa alla fissazione dei termini massimi di durata del tirocinio per l’accesso alle professioni.
L’art. 9, comma 6, del D.L. 1/2012, convertito in Legge 27/2012 stabilisce che: “La durata del tirocinio previsto per l’accesso alle professioni regolamentate non può essere superiore a diciotto mesi; per i primi sei mesi, il tirocinio può essere svolto, in presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Analoghe convenzioni possono essere stipulate tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, all’esito del corso di laurea. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle professioni sanitarie, per le quali resta confermata la normativa vigente”.
L’articolo, per la verità, è molto chiaro, tant’è che molti Consigli dell’Ordine hanno subito preso posizione disponendo, ad esempio, “con effetto immediato, che la durata del tirocinio ai fini del rilascio del certificato di compiuta pratica sia di 18 mesi, in luogo dei 24 sino ad oggi previsti” 2; ovvero, “di ritenere applicabile a tutti i praticanti, anche a quelli iscritti antecedentemente alla data del 24 gennaio 2012, la durata di diciotto mesi del tirocinio e conseguentemente ritenere applicabile, al momento del rilascio del certificato di compiuta pratica, il D.L. n. 1/2012” 3.
Allora, dov’è il dubbio interpretativo? Da chi dipende?
E’ ovvio, si trova ‘nell’aria fritta’ e dipende sempre dall’alto, cioè da chi dovrebbe conoscere le leggi… dal Ministero della Giustizia, che in data 18/4/12, con un parere trasmesso al Presidente del Consiglio Nazionale Forense, ha stravolto le correnti interpretazioni, disponendo che, per la mancanza di norme transitorie ed in conformità con i ‘rocciosi assunti’ dell’art. 11 delle preleggi 4, “non vi sono margini interpretativi per ritenere che le nuove disposizioni sulla durata del tirocinio possano essere applicate retroattivamente”.
Ovviamente, come rilevato da tanti autorevoli colleghi, il parere del Ministero è ‘pazzia allo stato puro’!
E’ pazzia perché, pur basandosi sui consolidati principi di irretroattività, il Ministero si complica la vita ignorando la lettera e la ratio della norma da interpretare che, senza alcun dubbio, stabilisce che “la durata del tirocinio
La disposizione, inoltre, è stata introdotta con decreto legge proprio in virtù “della straordinaria necessità ed urgenza” di intervenire nel rispetto dell’art. 77 della Costituzione “per favorire la crescita economica e la competitività del Paese, al fine di allinearla a quella dei maggiori partners europei ed internazionali, anche attraverso l’introduzione di misure volte alla modernizzazione ed allo sviluppo delle infrastrutture nazionali, all’implementazione della concorrenza dei mercati, nonché alla facilitazione dell’accesso dei giovani nel mondo dell’impresa”.
L’interpretazione ‘volutamente complicata’ del Ministero, cozza, quindi, con le originarie intenzioni del legislatore (favorire l’ingresso dei giovani nel mondo delle professioni) e con la Costituzione (disparità di trattamento tra praticanti, dipendente solo dalla data di iscrizione!?!).
Si spera, dunque, in un ripensamento, magari dipendente dalla volontà di terzi organi, ad es. dell’organo di vertice della avvocatura (CNF), in grado di capire ed interpretare (si spera, più del Ministero), i bisogni della classe forense.
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